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4. Fra autocensura e rassicurazioni, l’epistolario di Felice Bruno di Belmonte

Durante la guerra la corrispondenza assunse caratteristiche di massa. Nel nostro Paese si calcolano 4 miliardi di missive, 10 miliardi si calcolano per la Francia e 30 per la Germania. Anche se tutti mandavano cartoline o lettere, la maggior parte delle lettere scritte e conservate furono comunque scritte da soldati appartenenti ai ceti più abbienti, una minoranza di giovani volontari o ufficiali che molto spesso erano stati anche ferventi interventisti. Come l’ispicese Felice Bruno di Belmonte, capitano del 7° raggruppamento artiglieria pesante campale, proveniente da una famiglia molto influente sia economicamente sia politicamente. Dal suo ricchissimo epistolario emergono atteggiamenti comuni che si ritrovano in tante lettere scritte al fronte. C’è, per esempio, un costante tentativo di ritrovare nel rapporto, seppur epistolare, con le famiglie un qualche spazio di normalità lontano dagli orrori della guerra di trincea, di cui si evita di parlare. A tal punto che anche Caporetto, la catastrofe, di cui Felice è testimone, finisce per essere come occultata. 

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