Il culto mariano negli Iblei

A Ḍḍulurata — L’Addolorata 01

Dalla testimonianza di Maria Bonomo raccolta a Modica nel Giugno 2010.

A lu juòvi ri la sira
Lu pigghiàru n-casa ranni
Cu la facci a ṭṛasciniuni
E Maria raṛṛieri a li porti
Ca sintìa li riscuṛṛiati.
Rati aciddu e nn-ati forti
Ca su carnuzzi rilicati.
“Ssàtila peḍḍṛi sta povira ronna
Menṭṛi c’aviti n-pussessu a mmia”.
“E tu ronna mi çiamasti,
Mancu mamma mi riçisti”.
“E ssu mamma ti riçìa
Ri la Cruçi mi ni carìa
E ssu mamma ti çiamava
Iu râ cruçi mi disciuvava”.
“Figghiu miu attacca li cani”.
“E li cani su’ attaccati”.
E li cani s’aṛṛubbigghiàru
Ccu na ranni fantasia.
Li ittàru fora fora
Ppi l’affiettu ri Maria.

Durata dell’audio: 39 seconsi – Scarica file

Trascrizione dell’audio

Dalla testimonianza di Maria Bonomo raccolta a Modica nel Giugno 2010.

A lu juòvi ri la sira
Lu pigghiàru n-casa ranni
Cu la facci a ṭṛasciniuni
E Maria raṛṛieri a li porti
Ca sintìa li riscuṛṛiati.
Rati aciddu e nn-ati forti
Ca su carnuzzi rilicati.
“Ssàtila peḍḍṛi sta povira ronna
Menṭṛi c’aviti n-pussessu a mmia”.
“E tu ronna mi çiamasti,
Mancu mamma mi riçisti”.
“E ssu mamma ti riçìa
Ri la Cruçi mi ni carìa
E ssu mamma ti çiamava
Iu râ cruçi mi disciuvava”.
“Figghiu miu attacca li cani”.
“E li cani su’ attaccati”.
E li cani s’aṛṛubbigghiàru
Ccu na ranni fantasia.
Li ittàru fora fora
Ppi l’affiettu ri Maria.

A Ḍḍulurata — L’Addolorata 01

Il giovedì sera lo catturarono nella grande casa col viso trascinato a terra e Maria da dietro le porte che sentiva le frustate: “date frustate leggere non forti perché le sue sono carni delicate”. (Gesù) ”lasciatela in pace questa povera donna dal momento che avete me”. “e tu ‘donna’ mi hai chiamato, neanche mamma mi hai detto”. “E se mamma ti chiamavo dalla croce sarei caduto, e se mamma ti chiamavo dalla croce mi schiodavo”. “Figlio mio lega i cani” “e i cani sono legati, e i cani si sono svegliati con grande frenesia, li hanno liberati per amore di Maria”.
Maria urlò e si trattenne, vide suo figlio pendere dalla croce ”prendete una scala perché io lo tiri giù per potergli baciare le preziose carni. Chiamatemi Giovanni, perché voglio che mi dia dei consigli. Benedite il venerdì a mio figlio. Che l’acqua del mare diventi olio.

Note
Nell’iconografia classica la Madre Dolorosa viene raffigurata con il capo reclinato, gli occhi grandi e la bocca piccola, con una, cinque, sette spade che le trafiggono il cuore. È la personificazione del dolore immenso per la perdita del figlio e rappresenta una delle immagini più forti e pregnanti della nostra tradizione orale. La chiameranno semplicemente Addolorata, non trovando per lei un termine corrispondente nella lingua italiana e siciliana per chiamare una donna che perde il proprio figlio.
Nella figura di Maria la saggezza popolare avverte tutto lo smarrimento, tutta la desolazione e l’incredulità di ogni essere umano colpito da tale tragedia.
Nelle preghiere che parlano dell’Addolorata è singolare notare come la Vergine, unica donna a poter intercedere presso Dio a favore degli uomini, non implori mai l’Altissimo perché allontani la morte dal Figlio. È come se lei avesse intuito che dall’uomo arriverà la morte e all’uomo deve chiedere di intervenire per impedirla.
Nel cuntu la signora Maria Bonomo evidenzia la preghiera agli uomini: “Rati aciddu, e nn-ati forti, su carnuzzi dilicati”. (‘Non colpite troppo forte: le sue sono carni delicate’). Fortissima supplica: è la preghiera di una madre rivolta non all’Altissimo ma agli uomini. Lei sa che quei carnefici sono in procinto di compiere un dovere imposto, ma li prega di non colpire troppo forte il figlio. Gesù è messo in croce. “Maria ittau na uçi e s’ammantinni, vitti a ssa figghiu a la cruçi ca penni”. Si giustifica, quasi, la Madonnna per aver urlato di fronte alla vista del figlio in croce. “Ca tantu tiempu ti tinni a li minni, e ora ti viu a la cruçi ca penni” (pochè per tanto tempo ti ho allevato tenedoti al seno e ora ti vedo pendere alla croce’).
E Gesù: “Mamma, biniriçìtimi e ghitavìnni, ca cc’è na Santa Cruçi ca m’aḍḍifenni”. (‘Mamma beneditemi e andatevene perché la Santa Croce mi difende’). Cristo chiede alla madre la benedizione e dunque l’accettazione dei fatti. Lei non lo può aiutare come madre, può benedirlo però e pregare per lui. Gesù riconosce ormai alla Madonna il ruolo indiscusso di Domina, anche se, come figlio, la difende ancora dagli uomini. “Ssàtila peḍḍri sta povira ronna menṭṛi c’aviti n-pussessu ammia”. (‘Lasciate andare questa povera donna dal momento che avete me’). Gesù non sopporta che la madre viva l’orrore della Passione.
Lo strazio continua nel dialogo tra i due, condotto su quel canale aperto nel momento della nascita e mai chiuso. È un canale esclusivo, che appunto estromette ogni altro interlocutore. Si può solo assistere, ascoltare e partecipare alla sofferenza di entrambi. “E tu ronna mi çiamasti mancu mamma mi riçisti” (‘Mi hai chiamata donna, non mamma’). Chiamare mamma è un’invocazione di aiuto, lei bene lo sa. Quel donna per lei, madre prima di tutto e per sempre, segna un distacco non tanto incomprensibile quanto imperdonabile. “E ssu mamma ti riçìa, iu râ cruçi mi ni carìa, e ssu mamma ti çiamava iu râ cruçi mi disciuvava”. (‘Se ti chiamavo mamma cadevo dalla croce, se ti chiamavo mamma io mi schiodavo dalla Croce’). Cristo giustifica la sua umanità, il senso profondo del suo essere uomo. Invocarla come mamma avrebbe significato scegliere di scendere dalla croce ma allo stesso tempo venir meno alla missione che Dio Padre gli aveva assegnato: morire sulla croce per risorgere.
Uno dei momenti più alti della Pasqua negli Iblei è l’incontro tra la Madre e il Figlio risorto: u vasa vasa, che si consuma a Modica il giorno di Pasqua, il bacio. Quel vasa vasa è atto che riassume ragioni profonde e svela il significato recondito di quel rapporto inscindibile madre–figlio, esempio di ogni relazione di sangue. Non solo. Coglie il senso della ricorrenza della Pasqua a Modica. Solo chi ha negli occhi il passo di Maria coperta da un manto nero, la domenica di Pasqua, riesce a comprendere lo stato d’animo della Madre che ha subìto la vista del figlio martoriato.
Quello di Maria è un girovagare, non è una ricerca: sa bene che il figlio è morto. Quel percorrere le strade della città è tipico di chi nel movimento, per non impazzire di dolore, trova un vago sollievo e trattiene ogni ricordo di ciò che è stato. Quasi che ricordare aiuti a far rivivere attimi in cui la vita, comunque, scorreva e non tutto era perduto. Così Maria. Pervasa dal dolore, avvolta nel suo manto nero, va errando per la città col suo seguito di devoti. Vedendo il Figlio risorto da lontano, lascia cadere il manto nero tra un volo di colombe e nel suo liberarsi del lutto ripete il gesto spontaneo di un vasa vasa che è abbraccio materno e insieme riverenza di fronte alla riconosciuta divinità del Figlio. Finalmente liberata del suo umano dolore di madre, Maria riacquista nel momento della benedizione alla città il suo ruolo di Donna che adesso si traduce anche per la saggezza popolare in Domina. L’incontro tra la Madonna e Gesù avviene in un tripudio di gioia. È un sollievo generale che si concretizza nel festoso applauso collettivo.
Solo col carico di queste premesse quel vasa vasa rivela il senso profondo e complesso della figura di Maria nella tradizione orale. La saggezza popolare, che si esprime nelle preghiere e nei cunti, la riconosce non più donna fra le donne ma Biniritta ṭṛa li ronni.

La testimone
E’ la stessa fonte  del Cuntu ra notti ‘i Natali.  Possiamo aggiungere che la signora quando recita una preghiera, come questa, assume una postura che riscontriamo uguale in tutte le donne incontrate: i piedi uniti, le ginocchia leggermente divaricate, il busto eretto e le braccia che si trattengono tra le mani incrociate all’altezza dei gomiti. Questa postura favorisce un lento dondolìo avanti e indietro assecondando la rima.