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Cosa può fare un povero ragazzo se non suonare in una rock band?

di Aldo Migliorisi

La storia di questo libro è iniziata qualche tempo fa, quando mi fu richiesto un articolo sulle band ragusane degli anni Settanta. Una scena musicale quasi dimenticata, che sembrava non fosse mai esistita, in ogni caso scomparsa.
In quegli anni io c’ero, suonavo in diverse band, ero direttamente coinvolto in quel fenomeno musicale, l’avevo vissuto in prima persona, nell’”età migliore della vita di ciascuno”, come dice un mio amico. Era una storia che mi riguardava personalmente.
E così, partendo dal materiale che avevo, dai miei ricordi personali, ho iniziato una ricerca. Interviste ai protagonisti di quel decennio, libri su Ragusa degli anni ‘70, testimonianze, ricordi, fotografie. Un mese in biblioteca a spulciare giornali locali, annate intere de “La Sicilia” o “Ragusa Sera”. Poi, aperti i cassetti della memoria, è stato difficile richiuderli senza prima averli svuotati: l’articolo era diventato un libro fatto di storie, di persone, di luoghi.
Andando avanti ho capito una cosa: quella storia che pensavo fosse solo mia e di pochi altri, riguardava invece centinaia di persone; e che quell’avventura, così come l’avevamo vissuta noi a Ragusa, in qualche modo era stata la stessa, facendo le dovute differenze, anche per i nostri coetanei a Parigi o a Milano, a Londra come a Bari. Era una storia che riguardava tutta la nostra generazione e che non si poteva ridurre a un fenomeno locale, individuale. Ci riguardava tutti. Ho provato così a raccontare la Ragusa degli anni Settanta, i suoi luoghi, i suoi eventi, attraverso una lente particolare: la musica, quello che ha rappresentato, l’importanza che ha avuto nella costruzione di un’identità, di un’appartenenza. Le band, i giovani che quella musica l’avevano ascoltata, suonata, vissuta, erano parte integrante della storia di una comunità.
Il libro si apre con una domanda: quando iniziarono gli anni Settanta a Ragusa? Un mattino di novembre del 1972 io mi trovavo all’angolo di Corso Italia con via Roma. Avevo solo dodici anni ed ero là per caso, quando vidi passare un corteo che sembrava non dovesse finire mai. Migliaia di giovani, capelli lunghi, minigonne, giubbotti di jeans, lacrime, pugni chiusi, bandiere rosse; e al centro una bara. Fu un’immagine che mi colpì profondamente e che tuttora è viva nei miei ricordi. Era il funerale di Giovanni Spampinato, ma questo lo seppi –per meglio dire lo capì, compresi il senso di quello che avevo visto- dopo. Ecco, per me gli anni Settanta a Ragusa iniziano là, in quel giorno, in quell’incrocio. E nel primo capitolo provo a spiegare anche il perché.
Tuttora i Settanta sono ricordati come “anni di piombo”. Eppure sono stati anche molto altro: dalla legge sul divorzio allo statuto dei lavoratori, dal riconoscimento dell’obiezione di coscienza alla legge Basaglia. Per la musica, poi, è stato un decennio fondamentale; potremmo dire di passaggio, quasi, tra un mondo e un altro. Basta pensare all'enorme e irreversibile gap tecnologico iniziato negli anni Ottanta e tuttora in corso: MTV, gli MP3, l’IPod, il digitale.
Ragusarock70 ha un sottotitolo: “Come fu che le band iblee misero fuori le unghie”. Ragusa, in quel periodo, è una città dove i bar chiudono alle dieci di sera, dove lo spazio del tempo libero è negato, dove i concerti di band di livello internazionali sono rarissimi. La città impone alle nuove generazioni un vuoto che, così sembrò ai protagonisti di questo libro, solo il suono delle chitarre elettriche poteva riempire. L'appartenenza, il gruppo, sono esigenze necessarie a quattordici anni; se questo poi si sposa con la musica, allora tutto può diventare una miscela esplosiva: i Ragazzi della via Pal più le chitarre elettriche, per capirci. D’altra parte, come cantavano i Rolling Stones in ‘Street fighting man’: “Be’, cosa può fare un povero ragazzo se non cantare in una rock band?”
Proprio all’inizio di quel decennio, dal generico beat pop dove era sufficiente suonare le canzoni dei propri idoli per incarnarne lo spirito di rivolta giovanile collegato alla musica, si stava passando pian piano a una visione più personale con brani propri, scelte e atteggiamenti che coincidevano con il sentire di quegli anni. Ed è anche grazie alla musica se il vento del ‘68 che in quegli anni attraversa l’Occidente, superando magicamente frontiere e confini, arriva anche in una città di provincia del profondo sud; la distanza geografica che separa Ragusa dal resto del mondo era stata ridotta dal sentire comune di una generazione.
In un suo post sul gruppo Facebook Ragusarock70, uno dei musicisti di quegli anni ha scritto: «Noi abbiamo avuto la grandissima fortuna di essere stati testimoni della nascita dei migliori gruppi rock in assoluto e delle più belle canzoni che hanno influenzato la musica di tutto il mondo. E anche, molto modestamente e ingenuamente, siamo stati protagonisti, nel bene e nel male del panorama musicale ragusano. E scusatami se quando ascolto ‘Ticket to Ride’ mi commuovo ancora». Alcuni, a proposito di questo libro, hanno parlato di nostalgia. Ecco, io preferirei parlare di memoria, di storia di una comunità: la nostra.
Dopo la sua pubblicazione, il libro ha continuato ad avere una vita propria. Prima il gruppo FB che si è immediatamente riempito di contributi, ricordi, foto da diverse parti del mondo, dalla Florida alla Norvegia, a conferma che i ragazzi degli anni Settanta hanno viaggiato; i due book trailer di Giuseppe Tumino, uno dei quali ambientato in una festa nudista a Punta Braccetto nel luglio del 1977, forse il primo esempio di mockumentary che pubblicizza un libro.
Il 5 agosto 2014 la presentazione ufficiale del libro diventa "Ragusarock70 - Live al Castello". Sul palco del castello di Donnafugata sette band degli anni '60 e '70 ricostituitesi per l'occasione: Gregoriani, Watt '69, Performance, Camera, Hoo Poo Pah Doo, gli Incappucciati impersonati dai Caruana Mundi che hanno chiuso la serata. E tra un cambio e l’altro i dischi e le interviste di Franco “Lys” Dimauro, bravissimo maestro di cerimonie; quasi quaranta persone tra musicisti e tecnici, diverse migliaia di spettatori. In pratica la gita scolastica più bella della mia vita nonché, come hanno scritto giornali e addetti ai lavori, uno dei successi dell'Estate Iblea 2014.
Infine, per non farci mancare niente, a novembre, presso la Sala Avis, la prima del bel video di Marcello Bocchieri sul concertone al Castello. Sì, valeva proprio la pena di raccontarli quegli anni.