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Ragusarock70. Come fu che le band iblee misero fuori le unghie

di Aldo Migliorisi

Nota introduttiva di Andrea Nicita

Il libro di Aldo Migliori Ragusarock70, sottotitolo Come fu che le band iblee misero fuori le unghie, restituisce un quadro godibilissimo e documentato di una comunità, quella iblea, e in particolare quella ragusana, che è contemporaneamente periferia di un’Italia e di un mondo in trasformazione ma anche specchio di quei processi sociali e culturali che stavano interessando il nostro Paese. L’arco cronologico di riferimento va dalla metà degli anni ’60 ai primi anni ’80, con particolare attenzione, però, per gli anni ‘70. Ragusa, città periferica in cui, come dice lo stesso autore, il tempo storico sembra sfasato di circa quattro anni, ma anche Ragusa in cui le trasformazioni dal mondo giungono spesso in modo dirompente e lo fanno, nel caso del racconto in questione, anche attraverso una nuova musica che porta con sé il vento del ’68: il rock. La musica che diventa mezzo di aggregazione ma anche di identificazione e di manifestazione di conflitti tra le classi, tra le generazioni, tra i generi. Ci sono, nella storia raccontata da Aldo Migliorisi, oltre alle numerose persone che scorrono lungo le pagine, oggetti, luoghi, look, eventi che segnano il sorgere di continuità e discontinuità, di identità e contraddizioni insanabili.
Innanzitutto la cronologia e un anno in particolare, il 1972. È questo l’anno che l’autore identifica come momento di svolta, l’anno di inizio degli anni ’70 a Ragusa. E un evento: i funerali di Giovanni Spampinato, giovane corrispondente de “L’Ora” di Palermo e dell’”Unità”, che coraggiosamente aveva indagato sui rapporti tra le organizzazioni di estrema destra e la criminalità organizzata, ucciso da Roberto Campria, figlio del presidente del tribunale di Ragusa. Campria era fra i  maggiori indiziati dell’omicidio di Angelo Tumino, un commerciante di antiquariato e oggetti d'arte. Giovanni Spampinato era stato l'unico giornalista a non tacere sul fatto che il figlio del presidente del Tribunale  era coinvolto nelle indagini. Nelle elezioni anticipate del 7 maggio di quello stesso anno, il Msi aveva registrato in Italia, e ancora di più in Sicilia, un avanzamento significativo tra l’elettorato (a Ragusa città il Msi fu il terzo partito, dopo Dc e Pci, con il 14,88% alla Camera e il 15,59% al Senato), segnando la fine della cosiddetta stagione del centro-sinistra e della stagione delle grandi rivendicazioni degli anni ’68. L’anno precedente, il Msi aveva avuto un ruolo determinante nella elezione del nuovo presidente della Repubblica, il democristiano Giovanni Leone. Nel funerale di Spampinato, che attraversa la via Roma, un luogo che ricorre spesso nelle pagine del libro, Migliorisi riconosce un momento in cui una nuova consapevolezza attraversa i giovani ragusani, riuniti in un’identità riconoscibile, fatta di capelli lunghi, giubbotti di jeans, minigonne e, soprattutto, di ideali. I protagonisti sono quei ragazzi che hanno beneficiato dell’estensione dell’obbligo scolastico fino ai 14 anni, sancito con la riforma della scuola media del 1962. Tale riforma aprì nuovi orizzonti a migliaia di ragazzi che provenivano da famiglie dei ceti medi o della classe operaia. Nelle scuole, come spesso accade, i giovani ragusani troveranno dei luoghi di aggregazione e di confronto; e nelle scuole nasceranno, sempre in quel fatidico 1972, le prime forme di protesta e di coscienza politica. L’esperienza del ’68, sebbene potesse considerarsi conclusa, giungeva a Ragusa con quei fatidici quattro anni di ritardo e, di conseguenza, assumeva un carattere specifico, in relazione a una realtà provinciale e di periferia. Se nel libro di Migliorisi il filo conduttore è quello della musica rock, allora intorno al 1972 si crea una cesura anche per un altro motivo: in quegli anni si terranno gli ultimi show domenicali delle band ragusane che andavano avanti dal 1964. Quegli show si tenevano appunto la domenica mattina, poiché il sabato sera una città come Ragusa non concedeva luoghi adatti, e vedevano protagoniste band quali i Gregoriani, i Goldfingers, i Jaguars, i Visconti. Sebbene quelle mattine danzanti fossero un’occasione di aggregazione per i giovani ragusani del tempo, quegli show verranno percepiti dalla successiva generazione di musicisti come un’esperienza figlia di un tempo passato, con il quale rompere i ponti: cambieranno i luoghi, i protagonisti, il repertorio, subentrerà una sovrapposizione tra politicizzazione e musica (assente nei gruppi citati) e le mattine danzanti si trasformeranno, pian piano, in veri e propri concerti serali.
I luoghi, quindi: le mattine danzanti si svolgevano al cinema Marino, al cinema La Licata ma spesso anche in luoghi insospettabili, ad esempio il teatro della Chiesa della Sacra Famiglia. Luoghi insospettabili che evidenziano la contraddizione tra una generazione che porterà, comunque, una ventata di novità e la necessità di scendere a compromessi con una città limitata e con una società ancora fortemente impregnata di valori tradizionali. Una contraddizione che esploderà in un episodio divertente che vide il cantante Enzo Guastella de L’Impronta del Genio costretto, dal prete di turno, a suonare con indosso un cappotto, colpevole di aver indossato una calzamaglia troppo attillata. Il luogo era il teatro dei Salesiani e il prete era lì l’autorità.
La fine della stagione delle mattine danzanti fu segnata dallo sfaldamento dei gruppi che di quella stagione erano stati protagonisti: l’emigrazione (i Goldfingers e poi i Jaguars e i Cobra si trasferiranno in Norvegia, creando un ponte tra Ragusa e il mondo), il servizio militare e l’università irromperanno nella scena musicale ragusana sparigliando le carte. In quegli anni tornava, invece, dall’Argentina, Giovanni Tidona detto Il Boliviano, il quale in Sud America aveva fatto le stesse esperienze di ribellione e di incontro con la nuova musica rock: da lì in poi Giovanni, che ha raccontato parte della sua storia qui, sarà uno dei protagonisti della scena musicale ragusana. La generazione successiva di musicisti sarà, dunque, costretta, in realtà con piacere, a ricrearsi in modo autonomo, senza che ci fosse stato alcun passaggio di saperi tra le generazioni. A detta di alcuni di loro non si ebbe nemmeno la possibilità di comprare gli strumenti usati dei musicisti più grandi ma la verità che emerge tra le pagine è che, sebbene quegli strumenti fossero stati messi in vendita, i giovani ragusani che iniziarono a suonare all’inizio degli anni ’70 rifiutarono di acquistarli. Il motivo è semplice e segna, attraverso gli oggetti, una netta cesura tra le due generazioni: gli strumenti messi in vendita erano ritenuti poco adeguati per la nuova musica che s’intendeva suonare e, soprattutto, poco fascinosi.
Dal rapporto con gli oggetti emerge un’interessante e feconda contraddizione che riguardò i giovani ragusani degli anni ’70, così come l’intera generazione loro coetanea dell’intero paese. Quei giovani erano figli e beneficiari del miracolo economico ma contemporaneamente ne contestavano i valori, incentrati sul ruolo della famiglia che si sviluppava intorno alle nuove possibilità materiali di benessere e di consumo. In merito al consumo, i giovani di fine anni ’60 e dei primi anni ’70 vissero un atteggiamento ambiguo: alla contestazione di questo nuovo stile di vita, permesso dal miracolo economico, si accompagnava un interesse per certi oggetti, i quali costituivano la possibilità di una identificazione e di rifiuto della società borghese e ancora di più dei genitori. Abbiamo dunque i jeans, le minigonne e, in ambito musicale, i dischi e la strumentazione. I dischi erano spesso inaccessibili, vuoi perché a Ragusa non giungeva granché dell’industria musicale e vuoi per il loro costo eccessivo, ma comunque oggetto di desiderio poiché «camminare con un 33 giri del proprio gruppo preferito sotto il braccio rappresenta quasi un segnale di appartenenza». A volte, dunque, diventa una scintilla la musica proveniente da un juke-box caricato con Led Zeppelin, Deep Purple e Black Sabbath. Il modo di fruire la musica cambierà poi con l’avvento delle radio libere che, finalmente, trasmetteranno musica alternativa a quella nazional-popolare.
Ancora più evidente è la contraddizione che riguarda la strumentazione: lungo le pagine del libro, torna spesso, da parte dei testimoni, l’accento su come le band fossero costrette ad arrangiarsi con strumentazione scadente o casereccia. Come si è detto, però, sebbene questa necessità di doversi arrangiare donasse un carattere più romantico ed eroico al loro lavoro, il desiderio dei giovani musicisti era tutto rivolto agli strumenti delle grandi case di produzione statunitensi (Fender, Gibson, Rickenbacker). La prima Fender, si racconta, giunse a Ragusa nel 1967, ma fu un caso isolato poiché posseduta da un giovane di buona famiglia che poteva, dunque, permettersi un acquisto tanto costoso. I primi veri strumenti semi-professionali furono di quei giovani lavoratori che avevano qualche soldo in più e che, per ammortizzarne il costo, si dedicarono poi a una musica più commerciale che garantiva, quindi, la certezza di poter svolgere più serate musicali. Ai giovani della scena underground, ovvero coloro che abbracceranno l’hard rock e che suoneranno per il piacere dell’esibizione e per l’importanza della ribellione, non restò altro che acquistare gli strumenti che tanto desideravano ricorrendo allo stesso metodo che aveva permesso ai loro genitori di acquistare il frigorifero, la lavatrice o il televisore: il pagamento rateale.
Così come il mondo giungeva a Ragusa attraverso le mode, le culture, le musiche e gli oggetti, lo faceva, spesso in modo traumatico, anche, ovviamente, attraverso le persone.
Ingrid Krause era una ventiquattrenne turista tedesca in visita a Ragusa che, intenta a mangiare un gelato in via Roma, ebbe la “colpa” di accavallare le gambe, scoprendo una parte della coscia sinistra, e la sfortuna che in quel momento passasse da lì il pretore Carlo Scribano. L’accusa fu di violazione dell’art. 726 del Codice Penale, che regolava la condotta decente in luogo pubblico, con conseguente condanna a un’ammenda di 10.000 lire. Era, nuovamente, il 1972 e la notizia fece il giro dei giornali nazionali e internazionali. Ragusa si mostrava ancora molto bigotta, soprattutto ma non solo al livello delle istituzioni, e quello che accadde strideva con certe conquiste che si stavano ottenendo nel mondo circostante.
Capelli lunghi, baffoni e accento settentrionale: così si presentò dal nulla a Ragusa Franco, affermando di essere il batterista dei Nuovi Angeli, gruppo celebre a livello nazionale, e di voler reclutare giovani musicisti per delle serate da svolgere in zona. Sfasciati diversi gruppi e incassati gli anticipi per le serate, il sedicente batterista scomparve nel nulla così come era arrivato, approfittando dei sogni di gloria e dell’ingenuità dei poveri ragazzi ragusani.
In questa lunga epopea del rock ragusano, ci sono, però, due grandi rimossi: le famiglie e le donne.
Se, spesso, affiora la presenza del ruolo della scuola, sia in senso positivo (a scuola, come si è visto, è possibile il confronto e l’acquisizione di saperi e consapevolezza) sia in senso negativo (la scuola è, ad esempio, ostacolo ai pomeriggi passati in sala prove, pena la bocciatura), quasi totalmente assente è, invece, la famiglia e si capisce anche facilmente il perché. Quando emerge, qui e lì, la famiglia è sinonimo di appartenenza di classe (ci sono i figli di papà e i figli degli operai) ma, in generale, la famiglia, con i suoi valori autoritari e tradizionali, è ciò che i giovani stavano mettendo in discussione, cercando di scuoterla con nuovi look, nuove conquiste, nuove abitudini, con il rifiuto dell’eredità simbolica e con l’arrogante suono delle chitarre elettriche. Racconta divertito Migliorisi come le chitarre elettriche dei Carmen Domini, durante gli show che si tenevano nella stagione estiva presso La Rotonda di Marina di Ragusa, fosse croce per i padri di famiglia, che la mattina successiva si sarebbero dovuti alzare per andare a lavoro, e delizia per i ragazzi estimatori, liberi finalmente dagli impegni scolastici. La famiglia, per quei ragazzi, era altro da quella genitoriale: gli ideali collettivisti si concretizzavano nell’appartenenza a una band, a un genere musicale, a una generazione, a un’ideologia politica. Lì, quei ragazzi, si sentivano finalmente protagonisti.
Meno giustificabile è, invece, l’altro rimosso di questa storia. Scorrendo le pagine e le foto dell’epoca, appaiono spesso ragazze intente a ballare la nuova musica o a partecipare a qualche azione collettiva. In generale, però, così come nell’intero movimento sessantottino, nonostante le grandi conquiste, le donne ebbero un ruolo subordinato, il mondo delle rock band rimase improntato a valori prettamente maschili e vide, praticamente, la totale esclusione delle ragazze dalle attività musicali del tempo. Sia chiaro che non fu un rimosso che riguardò esclusivamente la scena ragusana, anzi, ma comunque resta un qualcosa che stride con gli ideali emancipatori di cui quella generazione si fece portavoce, anche attraverso la musica.

Aldo Migliorisi (Ragusa, 1960). Fa parte della redazione di Sicilia libertaria, mensile per il quale cura la rubrica musicale. Scrive per diversi giornali on line e cartacei e cura un suo blog di “musica e altre storie rocambolesche”(aldomigliorisi.blogspot.com).Ha pubblicato: La musica è troppo stupida (La Fiaccola, 2008), Ragusarock70 – Come fu che le band iblee misero fuori le unghie  (Sicilia Punto L, 2014).  Si occupa dell’organizzazione di eventi musicali e culturali.

Tra i contenuti pubblichiamo, oltre al libro di Migliorisi, interamente consultabile in pdf, una galleria di immagini legata agli anni del rock raccontati nel volume e un testo di presentazione intitolato Che cosa può fare un povero ragazzo se non suonare in una rock band?. Il libro è pubblicato per gentile concessione dell'autore e dell'editore Sicilia Punto L. Le immagini sono parte della collezione privata di Aldo Migliorisi.

Contenuti
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Ragusarock70, il volume in pdf
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Cosa può fare un povero ragazzo se non cantare in una rock band? di Aldo Migliorisi