Giovanna La Cognata: la colonnella

Mamma e papà, l'ex colonnella e il socialista

di Laura Barone

Questa nota è stata precedentemente pubblicata su «RagusaOggi» il 6/11/2014.

Non ci potevano essere, per certi aspetti, due persone più diverse dei miei genitori, eppure sono stati insieme per 47 anni. Finchè la morte non li ha separati, come recita la formula della celebrazione del matrimonio.
Non dico che fossero perfetti, per carità, più volte litigavano per futili motivi o per questioni del tutto astratte e ideologiche, che nulla avevano a che spartire con la nostra vita quotidiana, ma dopo cinque minuti tutto tornava sereno.
Sulle cose importanti, sulle questioni fondamentali, erano sempre d’accordo. Per esempio sia mio padre che mia madre avevano accettato di fare qualche sacrificio non indifferente per venirsi incontro in situazioni non dipendenti da loro, ma delle rispettive famiglie di origine.
Se talora avevano posizioni diverse ed io mi schieravo con chi dei due, a mio parere, aveva ragione, immediatamente facevano fronte comune.
Ma torniamo su ciò che li faceva tanto diversi e su un episodio  particolarmente significativo in questo senso.
Erano entrambi insegnanti e per alcuni anni sono stati impegnati nella stessa scuola di Via Ecce Homo.
Mia madre all’epoca del regime, era stata una dirigente della Gioventù Italiana del Littorio e aveva trascorso la sua giovinezza tra marce, saggi ginnici, adunate e sabati fascisti che le avevano lasciato un certo piglio autoritario e militaresco comune alle maestre della sua generazione, che in certi casi mi faceva innervosire e reagire con la frase: «A voi vi ha rovinato il Fascismo!»
Mio padre, che all’epoca del regime non era insegnante, e quindi non era stato obbligato a prestare servizio nelle organizzazioni fasciste, non aveva fatto nemmeno il militare perché era stato riformato.
Era socialista, antifascista, antimilitarista. Soprattutto era un idealista.
Mia madre non si interessava di politica ed era una persona molto concreta.
Mio padre doveva sempre dire quello che pensava anche a costo di riuscire sgradevole, mia madre era molto prudente e riservata.
Il direttore didattico li conosceva entrambi molto bene.
Un giorno venne annunziata nella scuola elementare di Via Ecce Homo la visita di un ispettore scolastico di recente nomina, non ne ricordo il nome, ma  ricordo che era originario di Mineo, studioso di Capuana, sul quale aveva pubblicato degli scritti, e, come diverse persone della sua generazione, nostalgico del regime.
Il Direttore lo accompagnò nelle diverse classi. Quando toccò alla sua classe, mia madre scattò in piedi e, rivolta alla scolaresca, disse a voce alta: «In piedi. Atte…nti!»
Venti bambine col grembiulino, nero, un immacolato collettino con fiocchetto bianco, un altro fiocchetto bianco tra i capelli, composte nei loro banchi, si misero all’unisono sull’attenti con grande gioia dell’ispettore che esclamò: «Ci sono ancora delle maestre così!»
Il direttore, che come idee era più vicino a mio padre, divertito da quella reazione, che si aspettava, gli presentò mia madre  e ne fece gli elogi.
Usciti dall’aula dopo un altro doveroso «In piedi. Atte…nti» il direttore disse all’ispettore:
«Ora voglio farle conoscere il marito», e lo condusse nella classe di mio padre.
Qui l’ispettore trovò i banchi non allineati, e non tutti di fronte alla cattedra, gli alunni che lavoravano in gruppi, perché mio padre era un sostenitore della scuola attiva, come si chiamava allora.
I ragazzini si alzarono, ma non all’unisono. Niente “Att….enti”, qualche grembiulino sbottonato, alcuni collettini bianchi macchiati d’inchiostro, e magari girati all’incontrario, fiocchi (allora rossi per i maschi) slacciati o non proprio al loro posto.
Grande delusione dell’Ispettore, in una classe maschile si aspettava, come minimo, un “Presentat….arm”.
La cosa più simpatica è che quando i miei genitori raccontavano questo episodio non finivano di ridere, pensando alla reazione dell’ispettore nell’una e nell’altra classe e al divertimento che il direttore si era procurato alle loro spalle!