Il fidanzamento con il gerarca
di Laura Barone
Questa nota è stata precedentemente pubblicata su «RagusaOggi» il 27/9/2014.
Alla fine del testo, la lettera spedita da Giorgio La Cognata alla figlia Francesca, dopo la rottura del fidanzamento.
Francesca, conseguito il diploma di maestra, dovette attendere che il regime fascista inventasse le scuole rurali per poter cominciare ad insegnare. Dopo anni trascorsi nelle varie contrade dell’altopiano ibleo, in cui bisognava cercare i bambini casa per casa al momento dell’iscrizione, e patire i disagi dell’obbligo di residenza in campagna in case senza acqua corrente, senza energia elettrica e con i tetti che non riparavano nemmeno dalla pioggia, fu finalmente trasferita in una cittadina della provincia di Ragusa.
Andò a stare in un convento di suore che, a confronto con gli alloggi precedenti, le parve piuttosto confortevole. Ormai era vicina agli -anta.
Il suo temperamento solare la fece diventare subito amica delle suore e delle altre maestre. Si era in tempo di guerra, ma la gente cercava di vivere la sua vita come in tempi normali. Per esempio, questa cittadina era molto vicina all’aeroporto di Comiso, frequentemente bombardato dagli aerei inglesi che partivano da Malta, ma la gente non se ne dava molto pensiero, anzi certe volte, di notte, questi bombardamenti venivano guardati come se si trattasse di fuochi d’artificio.
Una maestra, che si era affezionata a Francesca, pensò di maritarla. E la sua scelta cadde su un signore che aveva superato la cinquantina, vedovo senza figli, nobile decaduto, ma, in qualità di gerarca fascista, personalità autorevole e rispettata.
La suddetta maestra seppe condurre i suoi negoziati con tale diplomazia che riuscì a far superare a Francesca le riserve sull’età, la condizione di vedovo, il dissesto economico della famiglia, insistendo sul titolo nobiliare a cui Francesca non era insensibile e sul ruolo che il personaggio aveva nel partito fascista locale. Insomma il fidanzamento decollò, ovviamente nel rispetto delle regole del tempo.
Per proteggere il buon nome della fidanzata, i due si dovevano incontrare solo alla presenza di altre persone e, siccome la famiglia di Francesca risiedeva a Ragusa, il compito di assistere agli incontri fra i due toccò alle suore, che lo accettarono ben volentieri.
Un’altra regola da rispettare era che i fidanzati non si potevano dare del tu e nemmeno del lei, perché il fascismo aveva sostituito il lei con il voi.
Bisognava organizzare anche la presentazione del fidanzato ai genitori. I quali, nonostante l’età della figlia, esercitavano sempre la loro autorità, soprattutto in questo genere di cose.
Tutta questa premessa era necessaria per poter proseguire nel nostro racconto.
L’incontro con i genitori non ebbe molto successo, ai loro occhi emersero soprattutto gli elementi negativi. Tra l’altro, a causa di un “incidente”, durante il pranzo, si accorsero che portava la dentiera.
Il padre di Francesca, che era antifascista, ebbe addirittura il coraggio, al momento dei saluti, di dire al gerarca: «Francamente non capisco cosa ci abbia trovato mia figlia nella sua persona!»
Per Francesca cominciarono i ripensamenti, ma nello stesso tempo si rendeva conto che alla sua età non è che potesse aspettarsi occasioni migliori…
La fine del fidanzamento fu, però, inevitabile, dopo questo incontro tra i due, alla presenza delle suore, nel salottino del convento.
Il gerarca indossava la divisa delle grandi occasioni, Francesca, che, grazie al regime, era stata spesso a Roma per frequentare corsi di aggiornamento e aveva comprato nella capitale diversi vestiti, si presentò, come sempre, elegante e curata.
Il gerarca cominciò così il suo discorso: «Signorina, voi sapete che siamo in guerra e, se la Patria ci chiama, dobbiamo accorrere in sua difesa. Noi fascisti in particolare dobbiamo dare l’esempio. Io ho già servito la Patria nella guerra del 1915-18, ma sento che ora è mio dovere partire volontario. Debbo essere sincero con voi. Anche se la vita mi fosse risparmiata, potrei tornare cieco di un occhio!». Al che lei esclamò: «Non sia mai, per S. Lucia!». Ma lui imperterrito continuò: «Potrei tornare senza un braccio, senza una gamba!», e lei: «Non sia mai, per San Rocco!». Allora lui «Signorina, ho dei brutti presentimenti!» e Francesca, non potendone più: «Insomma, cavaliere (così si faceva chiamare), vuliti perdiri ancora piezzi ? gghià ca nun c’è né chi pigghiari, né chi lassari…!».