Le pagine di Rabito
Fecimo una bella crotta
L’arrivo degli americani, Regalbuto 10 luglio 1943. (pp. 281-283)
E così, io, con tutte quelle, abiammo fatto una grotta sutta una crante roccia bella tenira, che di sopra c’era una pietra dura e di sotta era molla. Così, travaglianto travaglianto 24 ore, fecimo una bella crotta, che per noi era recovero, che fu la nostra salvezza.
Poi, quelle terre erino pure dai Montesane, e non poteva dire niente nessuno.
Quinte, erimo completamente nascoste della strada, e il piacere che abiammo era che vediammo di quella collina i movimente che facevino li acente e i soldate tidesche. E le case colonie che noi avemmo bandonato vinevino a vista. E vinevino avvista tutte li crusse timugne con il crano, che non ci aveva stato il tempo di trebiare, e tutte li bestie, tutte erino a vista. E così, vediammo tante sfollate che erino butate terre terre, scapate di Catania, di Mistiere Bianco e di Paternò, e di Biancavilla, perché c’era vicino il campo di Cerbine, e sempre c’era, notte e ciornno, il dovello aerio tra tedesche e amirecane.
Come hanno passato 2 ciornne, i tedesche, poverette, bantonate di tutte, hanno persso la resestenza, e un’altra volta si ne sono venute alle stesse posizione di prima. E quinte lì, dove noi avemmo abandonato, è deventato peggio di prima, perché noi, del punto alto che erimo, quardammo che truppe e confusione ci n’erino più di prima. E tutte diciammo: «Menomale che scapammo!»
Così, quanto c’erino li allarme, ci n’antiammo dentra il recovero; lì ci sidiammo, e tutta la notte io, il mio piacere era questo: di contare tutte li cose che mi avevino incontrato in vita mia. E tutte li minciate che io sapeva, alla notte li racontava. E c’erano 2 ragazze ciamelle, che io li conosceva di quanto erino picoli, e la signora Santa, sua madre, e la crante amica mia, donna Angela, conni suoi 3 figlie femmine, che la più crante era di 14 anni. Lì dentra non pareva che era tempo di querra, ma pareva che c’era il teatro, perché si redeva sempre; mentre il massaro Ture e il massaro Santo dovevino stare atento per li vachi, li pecore, che si le potevino magare arrobare. Perché tutte li delenquente di quelle luoche profetavino propia in quei ciornne per arrobare. Poi, versso il ciorno 15, li amirecane hanno investato un convoglio di tedesche, che erino circa 50 camie tedesche, tutte cariche di munizione. Che questa colonna vineva di Nicosia, che passava di Recalbuto, e doveva antare a Enna per remporzzo.
E così, li amirecane si hanno messo a butare bombe all’impazita sopra di Recalbuto, che la colonna era fermma e sotto li crosse albere nascoste per non essere vista. Ma secome ci dovettiro essere li spieie, questa colonna fu destrotta, e metà del paese fu destrutto magare. Menomale che quase quase tutta la popolazione si era revesata in tutte li campagne e tanta perdita non ci fu. Ma asSamPilippo di Acira, che era vicino, ci foreno centinaia di ferite e muortte, che poi hanno fatto un cimetero propia di querra con li acente che morerino propia quello ciorno. E magare morerino assai soldate amirecane, e tutte li picoli paese che erino vicine ni morerino.
Pare che non butavino bombe ma butavino celate
Arrivano gli americani, luglio 1943. (pp. 285-286)
Li tedesche avevino la popolazione contraria. E recoddo che c’era una calleria del treno, che io ci aveva lavorato, ed era piena di sfollate, e quanto venevino li aparecche amirecane, tanto era il piacere che trasevino li amirecane che neanche sentevino paura. Pare che li amirecane non botavino bombe ma butavino celate, di quanto era stubita la popolazione in quei ciorne. Che magare li amirecane, quanto passavino vecino alla calleria, ci le butavino apositamente, li bombe; tanto per farece capire «Antate dentra!», a queste stubite.
(…)
Recoddo che era il 20 luglio de 1943, che fu l’ultima ciornata che i tedesche erino in quella zona.
L’italiane erimo tutte tutte sicuro che venire l’amirecane era lo stesso di venire il Signore colla Madonna affare arrechire a tutte. E quinte, erino tutte sodisfatte che perdimmo la querra. Così, i tedesche ebiro la peggio.
Testi tratti da Antologia di Terra Matta