Le pagine di Rabito
Mia madtre voleva antarere avante onesta amente
Chiaramonte 1906. (pp. 3-4)
Il padre morì a 40 anne e mia madre restò vedova a 38 anne, e restò vedova con 7 figlie, 4 maschele e 3 femmine, e senza penzare più alla bella vita che avesse fatto una donna con il marito, solo penzava che aveva li 7 figlie da campare e per darece ammanciare.
Il più crante di queste figlie si chiamava Ciovanni, ma Ciovanni di questa nomirosa famiglia non ni voleva sentire per niente; se antava allavorare, quelle poche solde che quadagnava non bastavino neanche per lui, e quinte quella povera di mia madre era completamente abilita. Mio padre, con quelle tempe miserabile, per potere campare 7 figlie, con il tanto lavoro, ni morì con una pormenita, per non antare arrobare e per volere camminare onestamente. Ma il Patreterno, quelle che voglino vivere onestamente, in vece di aiutarle li fa morire.
Così, il seconto di questa nomerosa famiglia era io. Ed era io, Vincenzo, che così picolo sapeva che mia madre aveva molto bisogna dai figlie, perché era senza marito. Io non la voleva sentire lamentare perché non aveva niente per darece ammanciare ai suoi figlie. I tempe erino miserabile, li nostre parente erino miserabile come noie. E quinte, non zi poteva antare avante in nesuno modo.
Quinte, io fui nato per fare una mala vita molto sacraficata e molto desprezata. Quinte, mia madre era con la stessa mintalità di mio padre, che non voleva antare arrobare per campare ai suoi figlie, e neanche mia madre voleva fare la butana, come tante famiglie che fanno tutte le porcarieie per potere sfamare ai suoi figlie, mentre mia madtre voleva antarere avante onesta amente.
Io era picolo ma pieno di coraggio
Chiaramonte 1906. (pp. 4-5)
Io era picolo ma era pieno di coraggio, con pure che invece di antare alla scuola sono antato allavorare da 7 anne, che restaie completamente inafabeto. Quinte io, che capiva che cosa voleva dai suoi figlie mia madtre, per fare soldei mi n’antava magare allavorare lontano di Chiaramonte, bastiche io portava solde a mia madre. Perché mia madre non dormeva alla notte, perché penzava che aveva 7 figlie: che lo più crante era da 14 o 15 anne, io Vincenzo ni aveva 11 o 12 anni, e la più picola figlia ni aveva 3 mese. Quinte io solo penzava che per manciare ci volevino solde, per non morire di fame questa famiglia senza padre. Così, mia madre sempre diceva: «Menomale che c’ene Vincenzo che porta qualche lira per dare aiuto alla famiglia». E deceva sempre che quanto portava solde «mio figlio Vincenzo sempre veneva cantanto e allecro», ma quanto non portava solde «veneva arrabiato e bestimianto, perché non poteva sentire lamentare alla sua madre perché non c’era niente che manciare».
Che brutta vita che io faceva! Ciovanni neanche ci penzava, Vito era di 9 anne e magare che faceva qualche cosa faceva da sé, mia sorella aveva 7 anne e antava alla scuola, ma, con quelle miserabile tempe, il desonesto coverno non dava neanche uno centesimo per potere comperare uno quaterno,
perché voleva che tutte li povere fossemo inafabeto, così io questo lo capeva. Pure, poi, il desonesto coverno che comantava non dava maie asegne, e dovemmo stare per forza non inafabeto solo, ma magare molte di fame.
Ma io mi piaceva il manciare, ma mi piaceva magare di cercare il lavoro, perché era sempre pieno di coraggio e di cercare lavoro, compure cheaveva auto la sventura che restaie senza padre e mia madre senza marito e i povere miei fratelle e li picole 3 sorelline restammo tutte senza quida e senza nesuno che ci comantava. Tutte comandammo e la pendola non bolleva maie.
Ebica miserabile
Nella masseria, gennaio 1913. (pp. 8-11)
Così, il massaro Rosario mi ha detto che mi dava magare da manciare. Io, che per manciare era molto bravo, ci ho detto che ci antava subito subito, però, prima voleva essere pagato anticipato, non con li lire 5, ma con li 2 tumila di crano, perché sapeva che mia madre farina dentra casa non ni aveva.
Così, davero partiemmo, io a cavallo allo scecco del padrone, e il massaro Rosario con il suo scecco. Così, di Chiaramonte a Crammichele c’erino più di 30 chilomitre, ma per me che aveva 12, 13 anne, esento a cavallo all’asino, ce ne potevino essere magare 50, era lo stesso, tanto che io ho salotato a mia madre e partie cantanto.
Erino li 2 di notte quanto partiemmo. Faceva freddo, ma io non lo senteva, perché era sempre allecro quanto li cose mi antavino bene e quadagnava. Io era desperato e bastemiava quanto non aveva lavoro.
Recordo che erino i prime ciorne di marzo del 1912 e alle ore 8 di mattina il massaro Rosario, il Picireditto, mi ha portato a Crammichele e mi ha presentato al padrone, che questo si chiamava il massaro Matteo Aluzzo.
Così, questo mi ha fatto parlare magare con sua moglie, che era una berava donna, che, compure che io era di 13 anne, li donne li conosceva come li conosceva uno crante. Ma, per dire la verità, lui, il padrone, amme mi ha parsso zaurdo perché, come abiammo arrevato, mi ha detto: – Come ti chiame? – E io ci ho detto: – Vicienzo. – Siete revate tardo! Oggie lavoro ni potiemmo fare poco –. E il massaro Rosario ci ha detto che partiemmo alle 2, e per strada magare ha piuuto.
Che volete fare? Era ebica miserabile, che li padrone comantavino e l’operaie se dovevino mettere sempre solattente quanto parrava il padrone, e l’operaio non doveva parlare, perché subito lo licenziavino, perché leggie non ci n’era.
Così, la signora Rosa mi ha fatto 2 uova fritte subito subito, mi ha dato una bella pagnotta di pane bello fresco, un fiasco di vino, un bel pezzo di formaggio. Con il massaro Rosario si hanno salutato, che quello aveva una campagna vecino, e io quella crante pagnotta di pane di massaria, che era più di 2 chile la stapeva consumanto, perché aveva una fame di un lupo.
Il massaro Matteo quardavo la pagnotta e il vino e il formaggio e si ha fatto la croce, perché io aveva manciato assaie. E sua moglie restavo con la bocca aperta a vedereme manciare.
Così, il massaro Matteo aveva messo pronte 2 animale con li valde, non più sceche, ma 2 mule. Così, mi ha detto: – Vicento, ora che haie manciato antiammo allavorare –. Aveva tanta fretta per partire, mentre che sua moglie, compure che era una donna, gli diceva: – Matteo, questa matenata non ti conviene di partire, perché io ho quardato del barcone e sta per venire l’acqua, che, avante che arrevate sul lavoro, piove, e vi la pasate mala vialtre e magare li mule.
E così, il massaro Matteo ha fatto li prime chiachire di fronte amme con sua moglie, dicenduce che li donne, di campagna, non ni capiscino e sono stubite. La sua moglie ci ha detto: – Bagnite come un maiale, che non importa niente amme. Mi despiace per Vicenzo, lu caruso, che si bagna e per li mole –. E si n’antò.
Così, ci abiammo messo uno capotto di campagna per uno, cravacammo sopra li mule e partiemmo. Io non tineva paura che era a cavallo alle mule, ma mi faceva malo il culo, perché aveva stato a cavallo 5 ore di Chiaramonte a Crammichele e il culo l’aveva tutto limato, ma non mi ne curava per niente, bastica era a cavallo alla mula.
Così, partiemmo per la contrada verso Mezzarone, che in quei tempe non era paese come ora, c’era qualche casa e poi basta.
Così, camminammo per 3 ore e si ammesso a piovere, e io diceva tra me: «Aveva racione sua moglie che ci ha detto: “Tu, nella tua vita, sei stato sempre bestia”».
AmMezarone c’era uno pagliaio e ni ci abiammo messo dentra, ma era lo stesso di essere fuore. Così, ci abiamo bene bagnato dalla testa alle piede, e il padrone mi ha detto: – Vicienzo, per oggi lavoro non ni potemmo fare, non ci abiammo quadagnato neanche il pane che ni abiammo manciato
–. Così, ci abiammo messo a cavallo e partiemmo per Crammichele.
Finarmente, revammo e sua moglie ci ha detto: – Che ti lo diceva che piuveva! – E lui, con la rabia che non aveva raggione, ci ha detto: – Rosa, statte muta, perché prento la capezza e ti do tante bastonate –. E sua moglie ci diceva: – Che, vuoi fare vedere che sei sperto, che c’ene Vicienzo lu chiaramontano? – E lui, arrabiato come un cane, la voleva aferrare, ma lei si n’antò nel piano di sopera.
Così, doppo che manciammo, potevino essere li 7 e menza di sera, che poteva avere una ora che aveva tramontato il sole, quanto ci sento dire a questo zamarro: – Vicenzo, fai presto ammanciare che dovemmo antare a dormire, perché oggie lavoro non zi n’ha fatto, e quinte speriammo che lo
faciammo domane. Quinte, all’una questa notte partiemmo. Quinte, antanto a dormire alle 8, sono 5 ore di suonno che ci faciammo.
Io ho detto: – Come, massaro Matteo, io questa notte mi sono alzato alle ore 2 e sono morto di sonno e ora vossia mi vole fare alzare all’una? E così io quanto devo dormire? – E allora mi ha detto: – Io, perché ti pago? Tu, figlio mio, ancora sei piciriddo e non sai che il padrone ti paga e, come ti paga, tu ce deve dare il tuo lavoro.
Per la prima sera, davero, come mi sono corcato nella stalla, mi sono dormintato subito. E sua moglie venne e mi ha detto: – Se siente fredo, ti porto un’altra coperta –. Ma io ci ho detto che fredo non ni senteva.
Così, davero, questo zaurdo, propia quanto io era nel miglio suonno, mi sento chiamare: – Vicienzo, alzite che è l’una! – Io certo che del letto non mi poteva specicare, e luie, con la sua zaurdane che aveva, mi ha levato la robba di sopra e mi ho trovato scoperto. E lui che stava preparanto li mule per partire.
E partiemmo, non più per Mezzarone, ma partiemmo per un’altra contrada che si chiamava Ciurfo. Ma per Ciurfo, di Crammechele, ci volevino, come diceva lui, 4 ore. E quinte, partendo all’una, revammo alli ore 5. Quinte, secondo questa bestia, che cosa dovemmo fare alle ore 5, che aciornava
alle 6 e menza?
Così io, quanto sono revato a Ciurfo, lui lavorava con quelle 2 mule e io apresso apresso seminava li cece, ma io di notte non vedeva niente.
Testi tratti da Antologia di Terra Matta