Ebica miserabile
Nella masseria, gennaio 1913. (pp. 8-11)
Così, il massaro Rosario mi ha detto che mi dava magare da manciare. Io, che per manciare era molto bravo, ci ho detto che ci antava subito subito, però, prima voleva essere pagato anticipato, non con li lire 5, ma con li 2 tumila di crano, perché sapeva che mia madre farina dentra casa non ni aveva.
Così, davero partiemmo, io a cavallo allo scecco del padrone, e il massaro Rosario con il suo scecco. Così, di Chiaramonte a Crammichele c’erino più di 30 chilomitre, ma per me che aveva 12, 13 anne, esento a cavallo all’asino, ce ne potevino essere magare 50, era lo stesso, tanto che io ho salotato a mia madre e partie cantanto.
Erino li 2 di notte quanto partiemmo. Faceva freddo, ma io non lo senteva, perché era sempre allecro quanto li cose mi antavino bene e quadagnava. Io era desperato e bastemiava quanto non aveva lavoro.
Recordo che erino i prime ciorne di marzo del 1912 e alle ore 8 di mattina il massaro Rosario, il Picireditto, mi ha portato a Crammichele e mi ha presentato al padrone, che questo si chiamava il massaro Matteo Aluzzo.
Così, questo mi ha fatto parlare magare con sua moglie, che era una berava donna, che, compure che io era di 13 anne, li donne li conosceva come li conosceva uno crante. Ma, per dire la verità, lui, il padrone, amme mi ha parsso zaurdo perché, come abiammo arrevato, mi ha detto: – Come ti chiame? – E io ci ho detto: – Vicienzo. – Siete revate tardo! Oggie lavoro ni potiemmo fare poco –. E il massaro Rosario ci ha detto che partiemmo alle 2, e per strada magare ha piuuto.
Che volete fare? Era ebica miserabile, che li padrone comantavino e l’operaie se dovevino mettere sempre solattente quanto parrava il padrone, e l’operaio non doveva parlare, perché subito lo licenziavino, perché leggie non ci n’era.
Così, la signora Rosa mi ha fatto 2 uova fritte subito subito, mi ha dato una bella pagnotta di pane bello fresco, un fiasco di vino, un bel pezzo di formaggio. Con il massaro Rosario si hanno salutato, che quello aveva una campagna vecino, e io quella crante pagnotta di pane di massaria, che era più di 2 chile la stapeva consumanto, perché aveva una fame di un lupo.
Il massaro Matteo quardavo la pagnotta e il vino e il formaggio e si ha fatto la croce, perché io aveva manciato assaie. E sua moglie restavo con la bocca aperta a vedereme manciare.
Così, il massaro Matteo aveva messo pronte 2 animale con li valde, non più sceche, ma 2 mule. Così, mi ha detto: – Vicento, ora che haie manciato antiammo allavorare –. Aveva tanta fretta per partire, mentre che sua moglie, compure che era una donna, gli diceva: – Matteo, questa matenata non ti conviene di partire, perché io ho quardato del barcone e sta per venire l’acqua, che, avante che arrevate sul lavoro, piove, e vi la pasate mala vialtre e magare li mule.
E così, il massaro Matteo ha fatto li prime chiachire di fronte amme con sua moglie, dicenduce che li donne, di campagna, non ni capiscino e sono stubite. La sua moglie ci ha detto: – Bagnite come un maiale, che non importa niente amme. Mi despiace per Vicenzo, lu caruso, che si bagna e per li mole –. E si n’antò.
Così, ci abiammo messo uno capotto di campagna per uno, cravacammo sopra li mule e partiemmo. Io non tineva paura che era a cavallo alle mule, ma mi faceva malo il culo, perché aveva stato a cavallo 5 ore di Chiaramonte a Crammichele e il culo l’aveva tutto limato, ma non mi ne curava per niente, bastica era a cavallo alla mula.
Così, partiemmo per la contrada verso Mezzarone, che in quei tempe non era paese come ora, c’era qualche casa e poi basta.
Così, camminammo per 3 ore e si ammesso a piovere, e io diceva tra me: «Aveva racione sua moglie che ci ha detto: “Tu, nella tua vita, sei stato sempre bestia”».
AmMezarone c’era uno pagliaio e ni ci abiammo messo dentra, ma era lo stesso di essere fuore. Così, ci abiamo bene bagnato dalla testa alle piede, e il padrone mi ha detto: – Vicienzo, per oggi lavoro non ni potemmo fare, non ci abiammo quadagnato neanche il pane che ni abiammo manciato
–. Così, ci abiammo messo a cavallo e partiemmo per Crammichele.
Finarmente, revammo e sua moglie ci ha detto: – Che ti lo diceva che piuveva! – E lui, con la rabia che non aveva raggione, ci ha detto: – Rosa, statte muta, perché prento la capezza e ti do tante bastonate –. E sua moglie ci diceva: – Che, vuoi fare vedere che sei sperto, che c’ene Vicienzo lu chiaramontano? – E lui, arrabiato come un cane, la voleva aferrare, ma lei si n’antò nel piano di sopera.
Così, doppo che manciammo, potevino essere li 7 e menza di sera, che poteva avere una ora che aveva tramontato il sole, quanto ci sento dire a questo zamarro: – Vicenzo, fai presto ammanciare che dovemmo antare a dormire, perché oggie lavoro non zi n’ha fatto, e quinte speriammo che lo
faciammo domane. Quinte, all’una questa notte partiemmo. Quinte, antanto a dormire alle 8, sono 5 ore di suonno che ci faciammo.
Io ho detto: – Come, massaro Matteo, io questa notte mi sono alzato alle ore 2 e sono morto di sonno e ora vossia mi vole fare alzare all’una? E così io quanto devo dormire? – E allora mi ha detto: – Io, perché ti pago? Tu, figlio mio, ancora sei piciriddo e non sai che il padrone ti paga e, come ti paga, tu ce deve dare il tuo lavoro.
Per la prima sera, davero, come mi sono corcato nella stalla, mi sono dormintato subito. E sua moglie venne e mi ha detto: – Se siente fredo, ti porto un’altra coperta –. Ma io ci ho detto che fredo non ni senteva.
Così, davero, questo zaurdo, propia quanto io era nel miglio suonno, mi sento chiamare: – Vicienzo, alzite che è l’una! – Io certo che del letto non mi poteva specicare, e luie, con la sua zaurdane che aveva, mi ha levato la robba di sopra e mi ho trovato scoperto. E lui che stava preparanto li mule per partire.
E partiemmo, non più per Mezzarone, ma partiemmo per un’altra contrada che si chiamava Ciurfo. Ma per Ciurfo, di Crammechele, ci volevino, come diceva lui, 4 ore. E quinte, partendo all’una, revammo alli ore 5. Quinte, secondo questa bestia, che cosa dovemmo fare alle ore 5, che aciornava
alle 6 e menza?
Così io, quanto sono revato a Ciurfo, lui lavorava con quelle 2 mule e io apresso apresso seminava li cece, ma io di notte non vedeva niente.