I testimoni e gli interventi
Salvatore Licitra
Nella masseria i salariati, impiegati per brevi o lunghi periodi, vivevano in condizioni di estrema miseria e venivano sottoposti a un intenso sfruttamento. La giornata di lavoro cominciava al buio e, una volta rientrati dai campi, veniva ancora richiesto altro lavoro nella masseria. Il cibo era scarso e cattivo, nessun ricambio di vestiario era previsto nella settimana, arcaico era il sistema di illuminazione. Durante la mietitura, come spigolatrici, e per la raccolta di olive e carrube erano impiegate anche le donne.
Nelle masserie bambini e ragazzi lavoravano fin dai sette-otto anni come pecorai e garzoni in condizioni di sfruttamento simili a quelle degli adulti. Venivano “adduvati” con un contratto di tipo annuale, che prevedeva un pagamento alle famiglie in granaglie e denaro e il mantenimento del bambino da parte del massaro.
Salvatore Licitra ricorda la sua vita in campagna fino all’età di 27 anni, le vacanze, l’abitare tra città e campagna, l’autonomia dei bambini, gli effetti della Riforma agraria.
“Era una catena disperata”, così Salvatore Licitra descrive i meccanismi di sfruttamento che, messi in atto dai proprietari terrieri, colpivano tutti i lavoratori agricoli, con differenti modalità a seconda della loro posizione nella scala gerarchica.
Nel secondo dopoguerra nelle campagne arrivò la Riforma agraria. Salvatore Licitra riflette, a partire dai propri ricordi, sulle conseguenze che la legislazione ebbe per le famiglie dei massari, che si collocavano in posizione intermedia tra i padroni dei fondi e gli operai agricoli.
Iano Catania
Prima e dopo la seconda guerra mondiale il ricordo della fame, delle condizioni di povertà e di quando “mancava tutto”. Il padre del testimone prendeva i terreni a “gabella”. Il patto di gabella (contratto di terratico) prevedeva il pagamento di una certa quantità di grano per il terreno preso in affitto.
Rosario Nobile
Rosario Nobile associa alla lettura di un brano di Terra matta i ricordi personali sui bambini “adduvati” presso le famiglie dei massari.
Il termine veniva utilizzato per indicare un ingaggio in campagna, ma nel caso dei bambini implicava anche il compito dei massari di allevarli, dando loro vitto e alloggio, insegnando i vari mestieri, fornendo “un’educazione”.
Fratelli Dimartino
Gaudenzio Dimartino ricorda l’attività del nonno che, insieme ai cognati, prendeva in appalto i feudi per la raccolta di carrube e olive, organizzando le ciurme e senza mai avere conflitti con la malavita. Descrive inoltre come si svolgeva il lavoro: la valutazione sugli alberi di carrube e olive, la divisione del raccolto e il reclutamento di intere famiglie di braccianti nel Modicano.
Una volta terminata la scuola elementare, la dura vita di garzone in campagna per Giovanni iniziò a 10 anni da un massaro, amico del padre.
Giovanni ricorda i tempi in cui, adolescente, garzone in campagna, doveva accudire il cane del padrone, per il quale era prevista un’alimentazione invidiabile. Era riuscito con furbizia a trarre vantaggio da questa situazione.
Giovanni e Gaudenzio Dimartino, giovanissimi, furono sempre al seguito del padre per la raccolta di olive e carrube, impegnati al frantoio anche per dodici ore al giorno. Il racconto di Gaudenzio sembra voler ridimensionare la versione di Giovanni rispetto alle dure condizioni economiche della famiglia.
Vally Ferrante
I ricordi di una famiglia benestante: la villa in campagna e la vicina casa dei contadini affittuari, dove da bambina Vally spesso si rifugiava.
Antonio Gona
A ogni tipo di lavoro nei campi e nei diversi momenti della giornata corrispondeva un canto tradizionale, seguito per la mietitura dall’invocazione a San Giovanni. Antonio Gona recita una poesia che si intonava nel periodo della mietitura.
A sei anni percorreva ogni giorno due chilometri a piedi per andare a scuola e altrettanti per tornare a casa. A pranzo, quando c’era, un pezzo di cipolla e un’oliva salata. Come tutti i suoi coetanei che abitavano in campagna, dopo la scuola lo aspettava il lavoro. I compiti si facevano dopo cena alla luce della candela. Era il più grande di quattro figli e a lui venivano affidate tutte le responsabilità quando i genitori andavano in paese la domenica.
Giuseppe Gurrieri
Il racconto della storia del padre Angelo affittato come pastorello all’età di 6 anni, una consuetudine per le famiglie povere che non potevano mantenere i bambini. Quando un bambino veniva “adduvato”, la responsabilità passava dai genitori al massaro che lo prendeva alle sue dipendenze. Il tema dei bambini “adduvati” e della durissima vita quotidiana a cui vengono sottoposti è anche trattato in Angelo Gurrieri, Nulla di personale. Autobiografia di un comunista, a cura di Pippo Gurrieri, Ragusa, Sicilia Punto L, 2002.
Nel secondo dopoguerra ebbe fine la “fiera di Ferragosto”, ovvero l’occasione in cui si svolgevano le contrattazioni per l’”adduvamento” dei bambini: il racconto avviene attraverso la testimonianza di Angelo Gurrieri, allora bracciante aderente alla Camera del Lavoro.
Coniugi Occhipinti Farina
Il lavoro di camionista comportava un lungo orario di lavoro e, soprattutto, la prolungata assenza da casa. Con l’acquisto di quattro mucche iniziò l’attività di allevatore, scelta fortemente appoggiata dalla moglie.
Coniugi Paravizzini Salvo
Il ricordo della scuola, frequentata fino alla V elementare, lontana chilometri da casa e insieme i primi lavori nei campi. A 11 anni per Sebastiano Paravizzini iniziò la vita del lavoro in campagna a tempo pieno: la cura delle capre, la semina con i muli e la mietitura.
Il duro lavoro in campagne lontane comportava lunghi e faticosi spostamenti con i muli, che potevano durare anche 14-15 ore.