La scuola

Le pagine di Rabito

La voglia di cominciare a fare “a,i,u”


Chiaramonte 1916. (p. 15)

Così io, quanto vedeva il libro di mia sorella che antava alla scuola, mi veneva la voglia di cominciare a fare «a, i, u». Quinte, cercava di amparareme qualche vocale e li numira. E così, piano piano, quanto una volta ho fatto un nume di ummio compagno di lavoro che si chiamava Vivera, e io, quanto sono stato capace affare «Vivera», mi ha parsso che avesse preso il terno! E così, piano piano, senza esserre prodetto di nesuno, fra poche mese mi sono imparato a capire cosa vol dire la scuola e conoscire li numira.
E così, leceva il ciornale, e così cominciaie a capire quanto soldate morevino nella querra, che più va, più aspra si faceva la querra.

Un buono avenire per me e per i miei figli


Comiso 1955. (pp. 342 – 347)

Tutte li ciornna faceva sempre ore di straordenario allo scopo di fare solde, e poi veveva di speranza e di un buono avenire per me e per i miei figlie.
(…)
Però io, quello che mi capitava e capitava, io non m’impresionava mai. E quallunque malavita che faceva, per me era sempre perfetta, perché il mio scopo era uno solo: quello di essere promosse i miei figlie (voldire, Tano con la licenza cinnasiale e Turiddo con la v cinnasiale), a quoste che mi avesse venduto magare li pandalune e motante.
Perché io penzava che a causa di non essere mantato alla scuola, perché padre non ci n’aveva, sono stato tante volte maletratato dai desoneste che comanteno e offatto una vita troppo maletratata. E quinte, per questo, devo per forzza fare studiare ai miei figlie.
E i miei figlie, se vuole il Dio, la vita meschina che offatto io non ci la voglio fare fare. E io tuttu quello che scrivo, magare che si capisce poco, è tutta veretà, perché ci ho tante e tante prove.
Così, diceva io: «Se non passa Tanuzzo, io, con tanta malavita che aveva fatto, non n’ho affatto ’sta mincia». E cercava di dareme da fare e pregava a tutte, macare li bedelle, bastica passava Tanuzzo.

Lauriato di incegniere


Chiaramonte 22 luglio 1966. (p. 373)

Così, revavo il ciorno 22 luglio, che questa ciornata fu più lunca per me, che aspetava a Turiddo e li ore 6 non vinevino maie, e aspetava l’avito busso dai Schembre e queste auto busso non vinevino maie.
Ma, versso le ore 4, io mi trovava a passiare, io e mio fratello Paolo, vicino alla villa, e quanto mi sento chiamare di quello che porta il telecramme, Laterra, e mi dice: – Don Vincenzo, c’ene un telecrammo di Turiddo! – Che diceva: «Finarmente mi sono lauriato. Questa sera venco. Turiddo».
Io mi sono spaventato, sentento dire «lauriato di incegniere». Io, che quanto vedeva uno miserabile ceiometra passare della strada per la solveglianza, che facevino tremare…e ora aveva un figlio incegniere! Che sa quanto io era contento! Corro e vado a casa per dirllo a mia moglie, ma cià lo sapevino tutte nella strada.
Io, tutto priato, mi ne sono antato impiazza e aspettava. Io aveva il cuore riempito di cioia, perché mi senteva ricco, perché mi pareva che mi aveva uscito la Sisola, mi pareva che aveva fatto 13 con 30 o 40 milione, tanto era contento quella sera!

Testi tratti da Antologia di Terra Matta