Antologia Terra Matta

Io mi cominciaie a sentireme male per causa alla stretta amicizia che aveva con queste putane

Malattie veneree, Catania 1921 (pp. 155-157)

Perché io, tanto forbo mi senteva, arevanno a donne, tanto cretino mi faceva, che mi lasciava comantare di questa dopia putana, come volevino mamma e figlia.

E così, io non mi ho fatto capace a chi aveva a volere più bene di tutte 2 donne che mi facevino contente amme: una era quella della pensione dove mi corcava e l’altra era questa che lavorava comme, che aveva questa figlia che si stapeva imparanto salta. Passanto 2 mese, io mi cominciaie a sentireme male per causa alla stretta amicizia che aveva con queste putane, sia con questa che aveva la figlia femmina saltina e sia con quella donna dove mi corcava alla sera. E cominciava a camminare zuoppo, perché mi facevino male li coglione, senza sapere che diavilo io aveva. Mi avevino uscito 2 froncole immienzo alle campe. Più va, più assaie mi facevino male, ma non le voleva dire annesuno dai 2 putane donne. Perché, se lo diceva a quella dove mi corcava: «Vedete cosa haio?», e mi potevino dire: «Mascerato, disonesto, questa maletia di donna dove l’haie preso? al casino?», e mi poteva dire che io l’aveva rovenata. E se lo diceva a quella che lavorava comme: «Vede che cosa haio?», mi poteva dire lo stesso: «Maleducato, ti seie rovenato». Mentre io ci doveva sparare a tutte 2, perché forse che tutte 2 erino impestate e hanno rovenato amme, che io aveva 22 anne, e magare che ni aveva 23, sempre era caruso, e la sua malattia mi l’hanno dato amme, così loro si hanno polito li sanquie e io mi l’ho sporcato. E così, io lo sapeva che questa maletia si chiamavino «bombona».

Dire, non ci lo poteva, sia all’una e sia a l’altra, che mi avevino rovenato, perché mi potevino denonziare. Quinte, mi conveneva di antare nel signore Nicodra, fareme fare la paga, e antare a cercare un dottore e fareme curare.

E così, ni ho trovato uno che, quanto ci sono domantato all’infermiere, subito volle una lira per potere aspetare al dottore. E finarmente doppo 2 ore ha venuto il dottore e, come mi ha vesetato, mi ha detto: – Queste bummuna vogliono essere tagliate per forza, ma allo spitale qui a Catania non ti conviene, perché sicuro che ti costerà lire 500, ma, se te ne vaie a Chiaramonte, questa operazione ti la puoie fare. Io ci aveva detto: – Dottore, che ci vorrebbe per farle scattare? – E il dottore mi ha detto che: – La vera mirecina ene, per queste, il cortello, che, una volta tagliate, non escino più.

Così, io aveva una rabbia che mi stapeva mettento a piangere, che per forza volevino essere tagliate, e io diceva: «Come, nella querra non mi avevino maie tagliato e ura, de borchese, per forza ci vole il cortello?» E diceva: «Come sono sportenato, che io da Chiaramonte aveva scapato per pazzo, perché non aveva lavoro, e ora aveva trovatto il lavoro e lo dovette lasciare, e magare malato di una malatia di butana!»

(…) Io sapeva che il dottore Cutello era lauriato di poche ciorne ed era il megliore dottore di tutte quelle altre dottore, che forse aveva 2, 3 ciorne che aveva venuto a Chiaramonte, e ancora lo studio non zi l’aveva aperto. Ma, però, io penzava che, se lo chiamava io, sicuro che ci veneva, perché il dottore Cotello mi voleva troppo bene. Io, con questo dottore, ci era amico di piceriddo.

E così, mi ha detto: – Avante Vincenzo, tu sei il primo mio chiliente –. Era tutto resolente, e rideva, e tutto si arrecriava. E mi ha detto: – Vincenzo, chi haie? Che fa? Haie capitato qualche buono raloggino catanese? E mi lo ficuro che potesse essere la tua bella malatia… – Lui redeva e io bestimiava. Perciò, mi ha detto, il bravo dottore, che domane, alle ore 8, prenteva la borsa con l’atrezze di dottore belle nuove nuove: – Senza che nesuno malato l’aveva doperato prima di te… E venco sicuro. Che con uno picolo taglio, caro Vincenzo, tutto va bene, e in 7, otto ciorne ti ne puoi antare a travagliare a Catania, e puoi portare un altro bello recalo… – Lui si deverteva a babiare e io bastimiava, e dalla rabbia mi muzecava li mane, non per il dolore che doveva sentre, ma per la vercogna che io senteva.